Home page                  Folclore

 

Raffaele Marrocco

Memorie storiche di Piedimonte d’Alife e contrade limitrofe

1926

 

 

Cap. XXXI

folklore pedemontano

(pp. 309-317)

 

 

 

ELEMENTI DI VITA TRADIZIONALE – Non poche ricerche abbiamo compiute per rintracciare qualche raccolta scritta sul folklore pedemontano, su quei preziosi elementi cioè della nostra vita tradizionale compendiati nei canti, nelle leggende e superstizioni del volgo, ma le nostre fatiche non hanno avuto l’esito che speravamo per il semplice motivo che nessuno se n’è mai occupato.

Eppure se si pensi per poco a quello che un tempo era il nostro sentimento religioso, familiare e di amore insieme; a quella che era la nostra soggezione civile e politica, ed a quelle che erano le nostre condizioni intellettuali, quando – segregai entro le mura di un castello – ci si privava di utili cognizioni e ci s’imbastardiva la mente con pregiudizi, ben si comprenderà quanto utile sarebbe stata per noi, ora, una raccolta di queste tradizioni. Solo interrogando i più vecchi del paese, in particolar modo i contadini, siamo riusciti, a riunirle in gran parte. Quasi tutte però sono state distrutte dalla moderna civiltà, e con esse anche gli antichi canti popolari, dopo l’infiltrazione della poesia dialettale napoletana.

Non sono questi canti, invero, dei capolavori del genere, né gli altri elementi un’esclusività locale, per essere quasi comuni ai paesi vicini coi quali formavamo l’antico feudo; ma questi canti, queste leggende e queste superstizioni rappresentano sempre un patrimonio demopsicologico regionale di notevole interesse.

Molti lettori sorrideranno certamente alla rievocazione di cose che oggi sembreranno loro frivole e puerili, come le leggende delle streghe, dei fantasmi, ecc. Essi però dimenticano quando – bambini – raccogliendosi intorno ai nonni, stavano ad ascoltare i meravigliosi racconti, e dimenticano che sono propri queste cose che racchiudono l’anima della nostra vita tradizionale. Anzi esse ci dicono da quali simboli derivino, e ci fanno conoscere lo stato di civiltà raggiunto dal popolo. Gli stessi canti, oggi non più in uso, ci danno l’idea di quella che era l’anima popolare e di quello che era ed è in gran parte il nostro dialetto.

 

DIALETTO – Non sentiamo quasi più quei capigli (capelli) quel cóglio (collo), e quel cappéglio (cappello), né altre voci, come appicciaregli (fiammiferi), aglina (gallina), vrocca (forchetta) ecc. Anche quelle cadenze molle, larga ed antipatica usata dai nostri vecchi, va cadendo in disuso, e in suo luogo abbiamo un parlare, almeno come pronunzia, che si avvicina alla lingua italiana, malgrado gli scambi di consonante, di articoli, di nomi, di pronomi e di verbi.

La consonante d, intanto, cambia ancora in r, e le desinenze, all’infinito dei verbi, invece di re in ne, e invece di ire in ine, come: merecane per medicare, venine per venire. Sovente l’infinito si stronca, come vedé per vedere, morì per morire, ecc.

Da pochi soltanto – i contadini – è usato il passaggio dalla seconda persona del singolare alla seconda del plurale, o viceversa.

 

CANTI POPOLARI – Abbiamo detto che l’infiltrazione della canzone napoletana ha distrutto in gran parte l’antico canto popolare…

 

IL « LUPO MENARO » – Così viene denominato il licantropo o lupo mannaro, l’infermo cioè affetto da epilessia, per cui emette delle grida somiglianti ad ululati.

Del « Lupo menaro »si ha grande terrore. Si ritiene che desso divenne tale perché nato nella notte di Natale. Lo si concepisce di forme umane, ma ricoperto di lunghi peli e munito di artigli. E poiché invaso da spirito maligno, lo si suppone di forza uguale a quella del lupo. È credenza diffusa che il « lupo menaro » va in giro dalla mezzanotte all’alba.

 

LE STREGHE – Sarebbero una derivazione delle Furie dei Romani, e sembra avessero stretta analogia con le Erinni. Nella Eumenidi di Eschilo sono dipinte, come mostri somiglianti alle Gorgoni ed alle Arpie, ma senza ali. Erano dette negre e abbominandi; un tristo umore calava loro dagli occhi; avevano serpenti per capelli, la lingua sporgente dalla bocca, e i denti digrignanti.

Da noi le streghe vengono denominate anche « janare » e si concepiscono di età avanzata, con capelli irti, con denti appuntiti, rugose e brutte. Si ritiene escano di notte dalle loro dimore, in particolar modo durante l’infuriare dei venti, per penetrare nelle case ove tormentare i bambini slogando loro gli arti. In senso figurato si dà il nome di « strega » o di « janara » alle donne poco socievoli, brutte, bisbetiche e di animo cattivo, e a quelle donne che esercitano malie o fattucchierie.

 

L’ORCO – Riteniamo derivasse dall’orcus dei Romani. È il terrore dei bambini. Lo si crede dimorante in grosse tane dove bolle un grande caldaio nel quale i fanciulli vengono lessati e poi mangiati. Presso i Romani si parlava dell’orco come di un uomo armato di falce e con la quale tagliava i polpacci di chi tentava sfuggirgli.

 

IL « MAONE » – Sarebbe, in effetti, il mago, colui cioè che esercita l’arte della magia, reputato di aver commercio coi demoni e di comandare gli spiriti. Lo si ritiene dotato di profonde cognizioni sulle cose naturali ed operatore di prodigi. Si ricorre a lui per spiegazione di fatti e circostanze misteriose o per curare un male. Il « maone » gode il maggior rispetto da parte di chi crede alle sue imposture, e campa comodamente la vita.

 

LA « FANTASTICA » – Corrisponderebbe al Fantaso dei Greci, cui appariva in forma di cosa animata. La « fantastica » viene supposta quale spettro di persona morta per accidente, e che, secondo i superstiziosi appare sempre vestita di bianco in luoghi solitari. La si ritiene incapace di arrecare del male.

 

LA « FATTURA » – Gli attacchi isterici delle donne o la snervante passione amorosa di un uomo, sono ritenuti effetti di una malia denominata « fattura ». Gli individui colpiti, ricorrono alla fattucchiera perché operi a togliere il male dal corpo; e l’infermo, sia per suggestione sia per altra causa, ne esce quasi sempre guarito. Spesso la fattucchiera usa delle arti illecite facendo bere delle droghe o decozioni di erbe. Recita scongiuri, e legge in libri vecchi o su carte da giuoco, con atteggiamento misterioso. È pagata profumatamente o compensata in derrate.

 

MALOCCHIO O JETTATURA – Quando certe aspirazioni o certe operazioni non riescono a seconda i propri desideri, se ne attribuisce l’insuccesso al malocchio o alla « jettatura ». L’uno o l’altra consisterebbero in una presunta potenza di certi uomini capaci di far del male, anche col solo sguardo, a chi vive sicuro e felice. Questa superstizione che ci è pervenuta dai Greci e dai Romani, ha, forse riferimento alle leggende di Medusa, il cui terribile sguardo impietriva chi la riguardasse. Come negli antichi tempi, anche oggidì si portano addosso degli amuleti per allontanare l’influenza del malocchio o della « jettatura ».

 

IL PANE E L’ACQUA PEI DEFUNTI – Tra le altre superstizioni diffuse nel volgo vi è quella di porre fuori la finestra, nella note del 1° novembre una fetta di pane ed una brocca di acqua, da servire per sfamare e dissetare una persona cara defunta, ritenendosi che proprio in quella notte i morti risuscitino, andando in giro per le abitazioni. Il dì seguente, se il tutto è a posto, vuol dire che lo spettro non ha sentito il bisogno di fare merenda, in contrario – senza mai supporre l’opera di qualche topo o gatto – si resta nella convinzione che lo spettro abbia gradito il gentile pensiero. Questa credenza dimostra quanto sia radicata nel popolo la convinzione sulla sopravvivenza dell’anima.

 

PREGIUDIZI DIVERSI – Non soltanto il volgo ma anche le classi più elevate sono imbevute di pregiudizi. Da tutti, ad esempio, sono ritenuti come forieri di sciagura i giorni di martedì e di venerdì, tanto vero che mai in tali giorni si celebrano matrimoni o battesimi, o s’intraprendono viaggi. Ci è in proposito un detto popolare, diffuso dovunque, che dice:

Di Venere o di Marte

Non si sposa né si parte.

Ecco altri esempi.

Prima o dopo il battesimo si usano mettere delle forbici sulla culla del bambino onde proteggerlo da eventuali maleficî durante le visite.

Sputando nella cenere calda significa desiderare la morte di un congiunto. Se si sogna una persona cara, ammalata, o morta, è indizio di buona salute e di lunga vita. Sognando acqua torbida: buone notizie; acqua chiara: cattive notizie; denaro: inganno; caduta di denti: morte di parenti; dolciume: persona cara da ammalarsi; vino riversato: buon augurio; olio riversato: disgrazie in famiglia; specchio infranto: sventura; insetti molesti: noie; forbici o galline: malignazioni; carne cruda: morte prossima in famiglia o ferimenti; sponsali: disgrazie; fiori: sventura; uva nera: lutto; uva bianca: lagrime; candele di cera: malattie; uova: ciarle dei vicini; vino bianco: lagrime; vino rosso: grazie e favori; carrozza: viaggio all’altro mondo; ciliege: nozze; mare tempestoso: sventura; pane: pazienza; cane: fedeltà; fichi neri: disgrazie; fichi bianchi: piaceri; cavallo: notizie; neve: cattive nuove; signore: fortuna; ecc. ecc.

 

IL BUE PASQUALE – Trasse origine da una antica costumanza romana che consisteva nel menare in giro intorno all’ara gli animali destinati al sacrifizio. In Piedimonte si portavano in giro per le vie – l’uso è stato smesso da pochi anni – i buoi destinati alla macellazione in occasione della Pasqua, due giorni innanzi tale ricorrenza. Gli animali menati in giro adorni nel capo e nel collo di fiori e di nastri di seta multicolori servivano per farne ammirare le forme e la qualità.

 

LA « GIARRA DI S. GIOVANNI » – Nel pomeriggio del 24 giugno, gruppi di giovanette celebrano la festività di S. Giovanni nei propri rioni, facendo il gioco della «Giarra di S. Giovanni»…

 

IL PRESEPE – In Piedimonte è poco usato l’Albero di Natale: invece abbiamo il «pressebbio»che è il divertimento di tutti, in special modo dei bambini…

 

IL SAN SILVESTRO – Oltre le brigate di popolani che visitano le famiglie cantando – la sera dell’ultimo di dicembre – il tradizionale «S. Silvestro», vige in Piedimonte, da oltre un secolo, una caratteristica usanza. Appena scoccata la mezzanotte, la banda musicale gira per le vie del paese suonando marce, canzoni, od altri motivi allegri, per annunziare l’entrata del novello anno foriero di felicità. Piova o nevichi, questo giro viene sempre compiuto con puntualità: esso è, ormai, divenuto un rito.

 

 Home page                 Folclore